L'articolo è stato originariamente pubblicato sul quotidiano italiano dell'Istria e del Quarnero "La Voce del Popolo" il 3 ottobre 2018 (http://lavoce.hr/cultura/2454-capodistria-torni-a-splendere).
Capodistria s’illumina. Lo fa con le luci dei centri commerciali e luci per terra, quelle accanto ai marciapiedi. Con le luci che cambiano colore dietro allo stadio e lungo la costa. E poi, con le luci dei fuochi d’artificio che periodicamente violano la quiete della nostra antica città, che di motivi per festeggiare ne ha ben pochi. Sempre accese, pronte a illuminare le nostre anime spente, queste luci. Posizionate tutt’attorno a noi per accecarci, per impedirci di fermarci, anche per un istante, e riflettere. E anzi, prima di riflettere, di osservare. È quindi questa la ricetta più efficace per distogliere la nostra attenzione da ciò che davvero conta, dalla sostanza. Inebriarci facendoci entrare in perenne contatto con elementi euforizzanti che anestetizzano le menti e rendono ostaggio il senso di curiosità. Non a caso sono le feste popolari, le sagre di paese dove si mangia tanto e spende poco, dove si beve per dimenticare, gli appuntamenti che lungo gli anni hanno ferocemente egemonizzato il calendario degli eventi organizzati e promossi dal Comune di Capodistria. Ci facciamo sedurre con poco: una pancia sazia rende l’uomo compiaciuto. D’altronde, accontentare un uomo soddisfacendo i suoi istinti più grezzi è il primo passo per rendere il beato anche acritico e disinteressato alle problematiche che lo circondano, specie se quest’ultime non ostacolano lo scorrere indisturbato della sua quotidianità. Nulla di enigmatico dunque si cela dietro allo scoraggiante fenomeno sociale che da anni sta infierendo su Capodistria e chi vi abita.
È il risultato di una tecnica di distrazione apparentemente banale ma, come testimoniano gli esiti delle ultime quattro tornate elettorali, estremamente efficace. Nonostante abiti una città semi deserta, priva di vitalità e deteriorata dal tempo, la popolazione capodistriana non sembra affatto sbilanciarsi di fronte all’occorrere del progressivo smantellamento dell’identità culturale della propria città. Speculazioni edilizie, noncuranza del patrimonio culturale e abuso d’ufficio sono largamente la causa della lenta agonia “made in Capodistria”. Una tragedia che molti capodistriani non sembrano riconoscere: forse perché non sufficientemente legati alla città e alla ricca storia che ne custodisce l’essenza, o forse perché di canali che avvicinino il cittadino ad essa non ce ne sono affatto?
E se la coscienza cittadina fatica ad affiorare dal basso, come nel caso capodistriano, è compito e assoluta priorità dell’amministrazione municipale stimolarne lo sviluppo attraverso politiche di sensibilizzazione mirate e necessariamente dotate di saggia lungimiranza. Attributi, questi, che purtroppo non descrivono minimamente l’indirizzo di governo della città negli ultimi anni. Anni che hanno visto il deterioramento e addirittura lo smantellamento vero e proprio di buona parte del patrimonio architettonico dell’antico capoluogo istriano. Un danno immane, che si ripercuoterà su tutte le generazioni a venire. E qui non si tratta di una perdita meramente materiale, quantificabile cioè in una somma di denaro che, per quanto alta sia, rimarrebbe sempre in qualche modo risarcibile. No, il danno che grava sulle spalle di tutti noi è una ferita molto più profonda, impossibile da rimarginare; tanto che oggi occuparsi del patrimonio culturale a Capodistria è come suonare il violino sul Titanic che affonda.
Ma il fatalismo non ha mai offerto soluzioni, ed è proprio di soluzioni precise ed efficaci che la nostra città travolta da un volgare edonismo ha bisogno. Per compiere un primo passo nell’arginamento di questo processo (auto)distruttivo basterebbe riconoscere il ruolo chiave che l’ambiente gioca nella vita di colui che lo abita. E quando, come nel fortunato caso capodistriano, l’ambiente è gonfio di eredità storica e culturale, espressa tramite un ricco patrimonio visivo, architettonico o artistico che sia, tale argomentazione risulta ancor più valida. È dunque inutile leggere nelle crepe degli antichi palazzi del centro storico il tetro presagio del futuro della nostra città. Cerchiamo piuttosto di soffermarci su quello che di prezioso ci è rimasto, su ciò che davvero conta, e questa volta senza lasciarci distrarre dalle frivolezze da cui veniamo perseguitati. Lasciamoci ispirare da secoli di storia che tutt’oggi ci indicano la via da percorrere. La via del progresso e della civiltà, che soltanto una sviluppata coscienza storico-culturale è in grado di evocare.
È solo così che forse, un giorno, capiremo che un palazzo non vale l’altro e che l’opportunità di poter ammirare le magnificenze lasciateci da chi ci ha preceduti nei secoli ha un prezzo: il rispetto per quest’ultime e un senso di responsabilità che ci imponga di lasciare a disposizione delle future generazioni l’eredità di cui noi stessi abbiamo potuto beneficiare.